LE SINFONIE CROMATICHE DELLA PASSIONE
Ogni quadro di Massimo Meucci sembra il risultato di un caos organizzato. Il suo modo di operare segue una ritualità
meccanica, apparentemente non calcolata. Quando opera sulla tela con trasporto emotivo, tutto dipende dallo
stato d’animo del momento, e quando riesce a trasfondere quello che vuole nel magma cromatico, e quindi sa di
aver terminato il suo lavoro, si ritrova spossato, come se si fosse appena risvegliato da un sogno inquieto. Accade a volte
che un pittore decida di abbandonare le tipologie di genere, come le figurazioni, i paesaggi o i ritratti. Credo che in questi
casi si tratti di una sorta di saturazione nei confronti dell’immagine riconoscibile, ed è in questo che va valutato ciò che è
avvenuto anni or sono a questo artista estroverso, che ha definitivamente abbandonato, senza più scendere ad alcun compromesso,
la pittura di tradizione. Col tempo è diventato un abile astrattista, avendo seguito il percorso di ricerca di quei
maestri dell’Informale, che hanno scritto la storia dell’avanguardia italiana del secondo dopo guerra. Ci troviamo quindi di
fronte, non a una contraddizione linguistica, ma a un salto di qualità necessario e inevitabile. Ma per Meucci non si pone
tanto la problematica del contrasto fra forma e non forma, quanto piuttosto tra la non forma e l’assoluto espressivo della
massa di pigmento, con il quale, appunto, egli vuole trasmettere all’osservatore soprattutto passione ed emozione.
In questi anni, più di quanto egli stesso pensi, Meucci si è avvicinato a una sorta di musicalità vibrante della cromia. I
tubetti di colore, che senza ritegno né controllo schiaccia e spande sulla tela, sono gli strumenti espressivi di un canto libero
e tonale, a suo modo ribelle. La sinfonia cromatica che sorge dalla superficie del quadro, si attiva in un personale svolgimento
ricco di variazioni che tendono a intrecciarsi, sovrastarsi, a sovrapporsi le une sulle altre, in un inarrestabile fermento
sulla tela. Egli domina la materia per realizzare la propria vocazione di fautore di emozioni, di sensazioni visive
e tattili, che vanno al di là della pura evidenza. Meucci rientra certo nei canoni delle avanguardie informali, ma il suo
modo di operare è del tutto inedito, per il fatto che egli è totalmente alieno da qualunque intenzionalità allusiva. Per dare
senso e peso all’intenzione che sta dietro queste composizioni sarebbero necessari gli strumenti della psicoanalisi, per dire
quanto esse assolvano una personale missione esplorativa di mondi inediti e impossibili che si sono formati, ben prima
ancora dell’esecuzione, in un’anima inquieta, negli antri misterici e profondi dell’inconscio. Ma forse sarebbe anche
necessaria, come strumento filologico, la visione del mondo di Nietzche, per spiegare questo stravolgimento di tutto ciò
che nel pensiero è sistematico. Ogni quadro è quindi un appuntamento con una creatività assolutamente svincolata dalle
regole compositive, che l’artista stesso definisce come un modo di sintonizzare il battito del cuore con quello dell’universo.
Quello che egli trasfigura nell’atto esecutivo, e che si trasforma magicamente in calore, colore ed energia, è il rapporto
alchemico tra il pigmento e la forza arcana che sembra ogni volta averlo trasportato in un vortice di passione. Esaminando
con attenzione ognuno di questi grovigli dinamici, viene alla ribalta la coabitazione - che è praticamente impossibile
raccontare, se non la si vede - di esplosioni e di implosioni che vengono prodotte con l’intervento quasi selvaggio
delle mani, della spatola, dei pennelli e di piccole spugne. All’osservatore rimane la meraviglia per una ricerca che, per
certi versi, si rifà all’action painting statunitense, anche se resta inedita l’invenzione linguistica, dove prevale l’eccezionalità
dinamica dell’impasto cromatico. Il territorio della sperimentazione pittorica di Massimo Meucci è dunque molto
vasto, avendo il privilegio di fondarsi innegabilmente sulle reminiscenze di una cultura visiva molto approfondita, ma
sublimata nell’immediatezza e nell’istintività.
Prof. Paolo Levi
Critico e storico dell'arte
TRANSLATION
CHROMATIC SYMPHONIES OF PASSION
Every painting by Massimo Meucci seems to be the result of organised chaos. His way of working follows an apparently
uncalculated mechanical system of rituals. When he works on canvas with an emotional frenzy, everything depends on his state
of mind at the time, and when he succeeds in transfusing what he wants into the magma of colour – and therefore when he knows
his work is finished – he feels exhausted as if he has just woken up from a troubled dream. Sometimes, a painter decides to abandon
genre types, such as figurative art, landscapes or portraits. In these cases, I believe that the recognisable image has reached a sort of
saturation point and it is in this light that we should look at what happened some years ago to this extrovert artist, who has
permanently abandoned traditional painting, without resorting to compromise. Over time, he has become a skilled abstract artist,
having followed the development of the work of those masters of Informal art who have been at the forefront of the history of the
post-World War II Italian avant-garde. We are therefore seeing not a linguistic contradiction, but a necessary and inevitable
improvement in quality-level. With Meucci, though, there is not so much a problem with contrasts between form and non-form, but
rather between non-form and the expressive absolute of the mass of pigment, with which he tries to transmit above all passion and
emotion to the onlooker.
Over the past years, Meucci has arrived, more than he himself thinks, at a sort of vibrant musicality in his colours. The tubes of paint
that he squeezes and spreads liberally and unrestrainedly over his canvas are the expressive tools of a free, tonal song that is
rebellious in its own way. The symphony of colours emerging from the surface of his painting is activated by a personal execution
full of variations that intertwine, rise up and superimpose themselves upon each other, in an unstoppable ferment on the canvas.
He dominates the material to realise his vocation as a creator of emotions, visual and tactile sensations, that go beyond the purely
obvious. Meucci certainly figures in the canons of avant-garde, informal artists, but his way of working is completely new, because
he is entirely alien to any intentional allusion. To give a sense and a weight to the intention that lies behind these compositions, we
would need the psychoanalyst’s tools, to say to what extent they perform a personal exploratory mission into hitherto unknown and
impossible worlds that have taken shape, well before their creation, in a troubled soul and in the deep mystery-laden caverns of the
unconscious. But perhaps it might also be necessary to have Nietzsche’s world-view as a philological tool, to explain this distortion
of everything that is methodical in thought. In each painting, therefore, we meet a creativity that is absolutely free from the rules of
composition, which the artist himself defines as a way of harmonising the beating of the heart with that of the universe. What he
transfigures as he paints – and what changes magically into heat, colour and energy – is the alchemic relationship between the
pigment and the arcane force that each time seems to draw him into a vortex of passion. If we examine carefully each of these
dynamic muddles, we see coming to the fore the cohabitation – which is practically impossible to explain, if one has not seen it – of
explosions and implosions that are produced with the almost savage intervention of the hands, the spatula, the brushes and small
sponges. The viewer is left with a sense of wonder at a work that, in some ways, recalls American action painting (although the
linguistic invention is new), where the exceptional dynamic quality of the colour impasto is all-important. Massimo Meucci’s
experimentation in painting therefore covers a very wide area, and it has the advantage of being undeniably based on the
reminiscences of a visual culture that goes very deep but that is sublimated in its immediacy and its instinctive quality.
Prof. Paolo Levi
Critico e storico dell'arte
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