Nel 1995 usciva in provincia di Piacenza il manifesto del Transvisionismo, esito dell’incontro di ventuno artisti e dell’elaborazione teorica del Prof. Luigi Galli, Romano Costa e Luciano Carini: un’elaborazione sofferta, di difficile traduzione, sia perché la storia dell’arte del secolo scorso ha avuto una quantità davvero rilevante di manifesti (come forma di più diretta comunicazione tra arte, artisti e pubblico, in quanto serviva a rendere evidente le ragioni costitutive di un movimento, i suoi obiettivi e i mezzi che intendeva mettere in opera), sia per una certa ricercatezza linguistica e concettuale che doveva dare credibilità all’evento.
Nella sua sostanza il manifesto auspicava ed auspica l’affermarsi di un’arte astratta capace di ribadire la qualità energetica e la potenza espressiva della materia – materia cromatica, plastica - liberata in uno spazio aperto, pulsante, vivo, profondo, determinato dal gesto che lo segna, lo plasma, un’arte senza più riferimenti descrittivi, rivolta all’essenza, a modulazioni, a ritmi che traducono direttamente l’emozione, la sensazione e il sentimento, provocando una progressiva smaterializzazione del sentire, un attraversamento della materia sensibile e del corpo attraverso la materia - attraverso, ‘trans’, un ‘trans-portare’ oltre la propria sensibilità, un ‘trans’, un ‘trans-vedere’ al di là della materia – provocando una continuità senza soluzioni, senza diaframmi e senza nodi o grumi, tra psichico e fisico, tra spazio intimo e spazio esterno di accadimento, in cui il gesto e lo sguardo fanno precipitare il segno e le sue evoluzioni, i suoi percorsi e riferimenti in un ‘campo’ di pulsazione e fermentazione. Così, quanti di volta in volta hanno aderito al Transvisionismo – sono molti e, com’è naturale nella dinamica dei gruppi, cambiano spesso l’aggregazione, la quale d’altronde ha solo lo scopo di acquisire maggior peso culturale e maggiore visibilità e distinzione sul mercato - esprimono soprattutto una forte tensione a quella smaterializzazione che già – a ben guardare – è implicita nella cultura virtuale del nostro tempo, caratterizzata da una sempre più consistente perdita di cultura materiale e diretta, a vantaggio di una cultura omologata, omogeneizzata, confezionata, introspettiva. Questa provoca un sostanzioso smarrimento di esperienza e di conoscenza, un progressivo indebolirsi dei riferimenti esterni e comporta, evidentemente, come sforzo reattivo e come proposta di uscita, un’ulteriore sollecitazione dello sguardo prensile, non più solo a guardare e vedere la realtà ma a ‘ trans-vedere’ a ‘ stravedere’, cercando di cogliere tutte le risonanze interne ed esterne, i riferimenti temporali e spaziali, di contesto ambientale e culturale. In questa direzione il Transvisionismo mira a distinguersi dall’Informale, attitudine, più vasta e più generica insieme, a restituire alla materia tutta la sua carica espressiva e comunicativa.
Il Transvisionismo si propone di andare oltre, di guardare oltre, di vedere che cosa ci sia al di là della materia e che la materia stessa e il gesto con cui viene trattata guidano a vedere, a percepire, a partecipare.
I Transvisionisti propongono quindi un diverso modo di guardare, di percepire la materia e di dialogare con essa, liberando l’istinto, focalizzando lo sguardo non più sulla apparenza figurale ma sui ritmi (gli andamenti, le scivolate, l’arricciarsi, il contaminarsi in tessiture semplici o complesse, a volte ardite per ricchezza di elementi interattivi) e sui ‘campi’ materici (sugli sviluppi volumetrici per le sculture) come sollecitazioni a un sempre più attento ascolto delle risonanze e delle modificazioni che colore, movimento, forma, materia, luce producono in noi. Diventa importante il gesto, come ricerca di adeguamento del ritmo pittorico al respiro, all’andamento del corpo, al passo, all’ampiezza del braccio, ora più espansivo ora più reticente.
Ricordo come e con quanta passione Lucio Fontana raccomandasse di non guardare i suoi ‘tagli’, le sue cesure, come eventi terminali, come risultati, ma come azioni, come se ciascuno di noi partecipasse con lui alla realizzazione del taglio, al gesto: nella ripetizione fisica o mentale del gesto c’era la possibilità di vera scoperta, col corpo, del significato del taglio in quanto esso consentiva la percezione del tempo (taglio), la percezione del presente, cioè della lacerazione del diaframma temporale tra passato e futuro, del momento brevissimo, anzi senza durata, inesistente, tra prima e dopo, tra qui e oltre, tra il davanti e il dietro la tela messi in comunicazione diretta. Il Transvisionismo sollecita a vedere oltre la realtà delle cose così come sono, come sembrano essere, al di là della materia/colore, collocandosi in uno spazio illimitato, di continuità emotiva, di tempo dilatato, in percorsi che diventano metafore di movimenti e mutamenti psichici, di sentimento attivo e germinante, non retrovisivo e nostalgico di una centralità perduta, di un’unicità insostenibile.
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1. L’esperienza artistica è fruizione dell’oggetto estetico come piacere trasferito oltre il suo percepibile contenuto.
2. La dialettica soggettivo-oggettivo viene superata attraverso l’intensità della visione, come sintesi disegni essenziali,
costanti della significazione artistica.
3. Alla valorizzazione delle tecniche espressive si guarda, come a virtualità dinamico-psichiche della creazione ovvero della poèsis della forma-idea nel suo divenire.
4. Bisogna che il fare artistico si identifichi nella poèsis, della forma-idea, vale a dire nell’atto del far venire in esistenza il signum, il segno, quale evento, forma distintiva, condizione del vedere-sapere “sub specie aeternitatis”, quale epiphania, apparizione sia dell’idea della cosa, sia dell’idea di sè medesima.
5. La concezione dell’arte come poèsis, come creazione della forma-idea del vedere-sapere “sub specie aeternitatis”, è in rapporto logico di esclusione con la concezione dell’arte come mimèsis, come imitazione.
6. Si afferma l’esigenza di un’arte astratta, vale a dire, di un’arte in cui anche il figurativo si manifesti non come raffigurazione, bensì come trasferimento della sua intuizione segnica: arte astratta, dunque, in quanto semiogenesi.
7. Anche la “visione”, compartecipe del fare artistico, è concepita come atto essenziale e costruttivo, come poèsis della forma-idea, come pertinentizzazione della forma-idea del colore-segno.
8. Si pensa un’arte in cui il valore strutturale del segno-colore archétypum e segnico connotativo prevalgano decisamente su quello segnico-denotativo.
9. Un’arte come contestualizzazione dei referenti sub-liminari e dei significanti finalizzati a valori funzionali etico estetici.
10. Un’arte anti-progettuale perché si sostanzia nella trascendenza della fenomenologia pluripercettia
11. Un’arte epifanica anche perché fruibile e relativa ad una cultura cosmo-umanistica.
12. Un’arte fantastico induttiva perché s’inoltra nell’alterità del comune concetto dell’esistere.
13. Un’arte sempre del segno astratto, perché consente di esperire il massimo del realismo, funzione della forma-idea archetipa del segno-colore.
14. Un’arte Antiideologica.
15. Un’arte utile alla società perché aiuta a salvaguardare l’uomo dalle massificazioni e categorizzazioni tecnico-politiche, funzione delle diverse pratiche ideologiche di potere, che si insinuano nelle coscienze attraverso i linguaggi di persuasione.
16. Un’arte che è epistème, scienza, in opposizione a doxa, opinione, nelle modalità e secondo le peculiarità-gnoseologiche dell’estetico.
17. Un’arte consapevole dell’interdisciplina fra i diversi linguaggi estetici e fra questi ed i linguaggi scientifici.
TEORICI DEL MANIFESTO
Luigi Galli, Romano Costa, Luciano Carini
Vigostano di Castell’Arquato, 28 Gennaio 1995
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